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Il Coronavirus, le nazionali di calcio e la Teoria di Kissinger

17 Mar 2020 | Editoriale

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Tutto il mondo e più che mai noi italiani, per la diffusione del Covid-19, stiamo vivendo un periodo molto difficile, fatto di sacrifici e di restrizioni. Non sappiamo se i campionati di calcio proseguiranno, ma gli europei di calcio è ufficiale sono stati rimandati al 2021. Per questo motivo, a tutti gli sportivi, ma soprattutto agli amanti del calcio, vogliamo raccontare una storia, anzi LA Storia di Danilo Fittipaldi che ha narrato su “Milanisti Leopardiani“, per alimentare la speranza e immaginare un futuro in cui sognare.

Partiamo prima però, da una premessa su quello che ci racconta la Teoria di Kissinger sulle nazionali di calcio, in relazione con il periodo complicato che stiamo vivendo.
Henry KissingerProbabilmente avrete già sentito parlare della teoria di Kissinger. A noi ad esempio, ce l’ha fatta scoprire il nostro amico Gianpaolo e visto che come lui, siamo degli inguaribili romantici, per un attimo, vogliamo provare a far sognare anche voi.
Henry Kissinger, classe 1923, tedesco d’origine emigrato a New York con la famiglia nel ‘38, fu Segretario di Stato durante le controverse presidenze Nixon e Ford e proprio in quegli anni, comprese l’importanza dello sport nelle relazioni internazionali. Grazie ad un accadimento casuale avvenuto tra un’atleta statunitense, Glenn Cowan e il cinese tre volte campione del mondo Zhuang Zedong, durante i mondiali di Tennis Tavolo del ’71 in Giappone, ideò la strategia politica per mantenere gli equilibri tra Stati Uniti e Cina in contrasto con l’Unione Sovietica, denominata “Diplomazia del ping pong“.
Ma sarà vent’anni dopo che Kissinger teorizzò la stretta connessione tra la cultura e le caratteristiche di una nazione e il modo in cui, le rispettive squadre, giocano e interpretano il calcio.
Durante i mondiali di USA ’94 dei quali fu il principale promotore nonché, un componente del comitato organizzatore, svelò alla stampa americana e ai suoi connazionali, che all’epoca consideravano il “Soccer” poco più che un buffo passatempo, di quanto fosse interessante questo sport. Ogni paese aveva il suo modo di giocare a pallone, e in quel modo si esprimeva l’autentico carattere nazionale.
La teoria di Kissinger si rivelò affascinante.
Prendiamo la Germania: il suo gioco in effetti rispecchia la classica solidità tedesca, la geometria, la forza organizzativa del lavoro, la prestanza fisica, l’impostazione tattica estremamente diligente, la tipica razionalità apollinea dei crucchi. In virtù del loro carattere, i tedeschi arrivano spessissimo fino in fondo alla competizione, anche se il loro movimento calcistico non ha mai espresso veri fuoriclasse, fatta eccezione per Beckenbauer e, forse, Gerd Muller.

Pensiamo ora al Brasile: estro, improvvisazione, il colpo ad effetto, l’irriverenza dell’uno contro mille, il genio individuale, l’impulso ad inventare, la pochezza della strategia in favore dell’ardore della creatività dionisiaca propriamente sudamericana. Secondo molti, la vivacità tipica del gioco dei sudamericani è dovuto anche all’influenza della corrida e dei balli latino-americani. In particolare, pare che dalla sfida contro il toro nasca l’istinto di scartare l’avversario con un dribbling, a differenza invece di quanto facevano i maestri inglesi che, nella loro concezione originaria di calcio, tendevano ad aggirare la difesa avversaria allargando il gioco come si fa nel rugby. Non a caso gli inglesi propendono a non eludere l’avversario: tutt’al più mirano a superarlo in velocità o di forza, in ossequio alla tipica fisicità dei nordici.

Il carattere nazionale olandese, invece, si trova perfettamente in accordo con l’idea di Kissinger. Gli olandesi hanno cambiato il pallone negli anni ’70, introducendoCredit: https://storiedicalcio.altervista.org/blog/calcio_totale_olanda.html il cosiddetto ‘Calcio Totale’, che è l’espressione con cui si definisce quello stile di gioco per cui ogni calciatore che si sposta dalla propria posizione è subito sostituito da un compagno, permettendo così alla squadra di mantenere inalterata la propria disposizione in campo. Si sostiene che ciò sia dovuto a una straordinaria gestione degli spazi anche fuori dal terreno di gioco, testimoniata dalla capacità di insediamento in un territorio del tutto singolare come quello dei Paesi Bassi. Peraltro, il calcio totale è stato anche il primo stile di gioco ad applicare sistematicamente il pressing e la tattica del fuorigioco. Ora: cosa sono gli olandesi, dal punto di vista sociale e politico, se non degli innovatori? In tema di diritti civili, di diritti di libertà, non sono forse avanti vent’anni rispetto al resto del mondo? Così è stato anche nel calcio.
Potremmo fare altre considerazioni: comunque, le condizioni per cui uno spirito prevale sull’altro sul campo sono sempre diverse, ma il punto è che la natura di ogni spirito nazionale rimane nel tempo pressoché costante, e il gioco lo testimonia.

Ad ogni modo, per Kissinger l’esempio più eclatante in merito a compatibilità fra gioco e carattere nazionale era rappresentato dall’Italia. Voi pensate, diceva agli americani, che gli italiani siano dei gaudenti estroversi, amanti del bello e dell’effimero, ma è nel calcio che si vede come sono veramente: gente tosta, sparagnina, che non concede nulla alle apparenze e dà il suo meglio quando è in difficoltà. Per gli italiani le vittorie memorabili non sono quelle in cui dominano l’avversario con un gioco brillante e fantasioso, ma quelle in cui sono assediati per novanta minuti da un nemico soverchiante, soffrono, stringono i denti e riescono con un’unica sortita a mettere a segno il colpo decisivo.



Ecco, quello che stiamo vivendo oggi, rispecchia a pieno quella situazione di gioco in cui l’Italia n’è uscita vittoriosa.
Giusto un paio di esempi lampanti. Nell’82 quando in Spagna, vincemmo il terzo mondiale, il paese viveva un periodo turbolento e il mondo del pallone fu scosso dal primo scandalo sul calcio scommesse. Nel 2006, lo scandalo calciopoli aveva messo alla gogna l’intera nazione, ma il ricordo di Cannavaro che alza la coppa è ancora vivido.

Non sappiamo ancora quando il paese si risolleverà dalle conseguenze del Coronavirus, ma sicuramente, quando all’Europeo, l’Italia affronterà i suoi avversari, porterà con se tutta la passione, le speranze e i sogni di un’intera nazione che ha un’immensa voglia di vincere la battaglia.

Redazione

*Credit: Danilo Fittipaldi – Milanisti Leopardiani (FB)

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